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Dear Esther – Significato nascosto

Dear Esther: Landmark Edition

Enigmatico, poetico, misterioso, onirico. Abbiamo parlato di Dear Esther nel momento della sua uscita per console e lo abbiamo lodato per la sua poetica visionaria. Tuttavia siamo qui di fronte a qualcosa di artistico che deve necessariamente essere dipanato, per non cadere nella banale classificazione dei walking simulator.

Abbiamo giocato d’un fiato questo titolo, esplorando ogni anfratto dell’isola in cui siamo prigionieri, e abbiamo disperatamente tentato di capire chi sono i protagonisti di questa storia. Chi è Esther? Chi Paul? Chi Donnelly? Chi siamo noi?

Partiamo dalle cose certe: il protagonista è innamorato di Esther. Esther è morta, probabilmente in un incidente stradale: il passaggio sull’autostrada allagata, i letti da ospedale sparsi qua e là tra i rifiuti, lasciano pochi dubbi al caso. Ma chi l’ha uccisa? Probabilmente Jakobson, di cui viene accennato il fatto che “non fosse ubriaco”. Quindi l’ha investita lui? Jakobson viene però citato spesso anche in riferimento ai calcoli renali, di cui sembra soffrire anche il protagonista. Ma chi è esattamente costui? A rispondere a questa domanda è la voce narrante in una delle sue ultime lettere prima di prendere il volo: “[…] Mi sporgerò a sinistra e vedrò Esther Donnelly volarmi accanto. Mi sporgerò a destra e vedrò Paul Jakobson volarmi accanto. […]

Questo aiuta molto a capire che i personaggi in gioco, in realtà sono due: Paul ed Esther, Jakobson e Donnelly. A questo punto non resta che chiarire un punto cruciale: il protagonista è Paul, che scrive le lettere, o Esther che se le sente leggere nel letto di ospedale? In poche parole il gioco sembra essere la manifestazione di una esperienza di pre-morte. Nel primo caso abbiamo Paul, che ha investito e ucciso l’amata Esther e che crolla nel buio della follia a causa del troppo dolore. I calcoli renali fanno il resto e lo portano verso la morte. Nel secondo caso, invece, Esther non è ancora morta ma è in coma, o in stato vegetativo, e Paul le siede accanto, leggendole le lettere che troviamo nel gioco e condizionando la sua esperienza di coma. Questo, naturalmente, poco prima che i calcoli uccidano anche Paul.

Insomma: Dear Esther è ambientato in un limbo di attesa per il ricongiungimento, di espiazione e liberazione della parte corporea, che si realizza con l’ultima scena, in cui gettandosi dal faro il protagonista diventa gabbiano (sempre alla fine viene detto “un giorno i gabbiani torneranno e s’annideranno nelle nostre ossa e nella nostra storia“) e lascia definitivamente questa vita per volare verso l’aldilà.

Questa è, almeno, la mia interpretazione dei fatti. Qual è la vostra?

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