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Monochroma – un puzzle cinematografico

Non accenna ad arrestarsi l’ondata di puzzle game che, da qualche mese, sta inondando le nostre console. Così, non appena l’interessante Monochroma fa il suo debutto, mi lascio catturare dallo stile grafico che sì ricorda un po’ sua maestà Limbo, ma che sin dalla prima occhiata sembra capace di regalare ricchi momenti di pathos.

Mi avventuro quindi nel tutorial dei comandi, che sapientemente viene fuso con il preambolo della storia. Due fratelli giocano in un parco e, come sovente accade, il piccolo si fa male cadendo. Il fratello maggiore, quindi, se lo carica in spalle e cerca di tornare a casa. Sulla sua strada, però, ecco apparire una via l’altro una serie interminabile di ostacoli: puzzle ambientali sempre più complessi dove la situazione non tarderà a farsi incredibilmente pericolosa per i nostri protagonisti.
A me, che imbraccio il controller, il compito di trovare il luogo più sicuro ove appoggiare il fratellino mentre cerco di risolvere i puzzle prima di caricarlo nuovamente in spalle e passare al prossimo stadio.

Come già accennato, la prima cosa che colpisce è lo stile grafico interamente in scale di grigio e dove l’unica tinta a spiccare è il rosso, che fa capolino qui e la come a sottolineare elementi che escono dal coro. Un scelta oggettivamente già vista (sia in Limbo per le cromie che nel recentissimo Blues and Bullets, in cui dalle tinte grigie è proprio il rosso acceso a staccare) ma che devo ammettere ha sempre il suo incredibile fascino.

I comandi sono semplici ed immediati, si imparano in meno di un minuto e ci lasciano subito concentrarci sui puzzle. Come detto all’inizio è tutto piuttosto lineare, quasi banale: dal playgroud passo alla campagna e alle fattorie, accompagnato da una musica delicata e rilassante che non invade e sottolinea piacevolmente il gameplay. Poi, quanto tutto iniziava a sembrare davvero troppo piatto, ecco il colpo di scena: la musica cambia ritmo, diventa incalzante, ansiogena; sullo schermo appare qualcosa che non dovrebbe esserci, qualcosa di misterioso, di sbagliato. L’urgenza di fuggire diventa l’unica priorità, fino al punto da farmi commettere fatali imprudenze.
Immediatamente la mia attenzione e il mio interesse si sono accesi. Nel giro di un paio di quadri tutto diventa più chiaro, per quanto riguarda le intenzioni degli sviluppatori, e nettamente più misterioso e intrigante per quanto riguarda la storia.
Una storia da seguire, quindi, da scoprire enigma dopo enigma: quello che sembrava un banale susseguirsi di “stanze” da risolvere, è diventato improvvisamente l’esplorazione di un contesto oscuro e affascinante, dove le trappole si susseguono senza soluzione di continuità e il passaggio da una sezione all’altra è lineare e perfettamente modellato per non dare al giocatore la sensazione di strappi, salti logici o voli pindarici che slegano lo svolgimento della trama, spezzando l’incantesimo e costringendomi ad uscire e rientrare di continuo nel gioco (a mio avviso, uno dei difetti maggiori di questa tipologia di titoli).

Monochroma è stata, in fin dei conti, una piacevolissima sorpresa. In modo particolare ho apprezzato il comparto artistico, ma quello tecnico non è da meno. I caricamenti, forse, sono un po’ lunghi, ma la dinamicità delle telecamere da al titolo quel senso cinematografico che rende la fruizione molto agile e piacevole, fin quasi a far scomparire il mezzo e lasciare il giocatore completamente immerso in questo mondo strano, quasi alieno. Come visto in Limbo, poi, il titolo modifica l’ambientazione in modo lineare, senza magici teletrasporti in ambienti differenti, si passa così dal rurale all’industriale e al tecnologico in un susseguirsi frenetico di pericoli ed enigmi che difficilmente incappano nel banale meccanismo del trial and error (anche se presente) e spingono molto più sull’acquisizione dell’esperienza del giocatore: è difficile commettere più volte lo stesso errore e l’abilità acquisita per superare un determinato enigma viene facilmente spesa per superarne altri, in una curva di complessità crescente graduale ma spietata.

Monochroma, in conclusione, è un’esperienza breve (servono non più di cinque ore per finire tutto) ma intensa: un ottimo filler per le noiose serate estive.

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