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Girl Power: i videogiochi contro il sessismo

Girl power

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Quante accuse sono state rivolte ai videogiochi da quando essi sono stati inventati?

Come ogni nuovo media prima di esso, l’élite culturale (o presunta tale) della nostra società non può proprio fare a meno di demonizzarlo come una sorta di imprescindibile gavetta intellettuale. Cinema, fumetto, internet: ogni nuovo mezzo di espressione, non appena diviene diffuso, fruibile e popolare si vede piombare addosso le chiose accusatrici dei signoroni che decidono cosa sia giusto e cosa sbagliato a livello culturale. E ovviamente le accuse il più delle volte suonano francamente ridicole a chiunque voglia guardare giusto qualche centimetro più in là del suo naso.

Il nostro caro mondo videoludico, a parte addestrare serial killer, terroristi e la peggior feccia che l’umanità possa annoverare, si vede rivolgere l’accusa, sempre verde, di sessismo.

Eh già, perché a quanto è dato vedere a tutti coloro che di videoludo palesemente non sanno nulla, non ci sarebbero altro che principesse indifese da salvare grazie alla superiorità maschile (che è un cliché che sussiste da ben prima dell’invenzione dell’elettronica) o stupide maggiorate da esibire come trofeo o come specchietto per allodole per allupati quindicenni.

Per anni, l’unico esempio che il generalismo giornalistico associava alle quote rosa in quest’ambito è stata la signorina Croft: la bella e giunonica archeologa inglese, per un certo periodo, faceva discutere più per i suoi abbondanti poligoni che per ciò che realmente le sue avventure offrivano, guadagnandosi un posto nell’olimpo delle pin-up senza cervello (cosa che non era neanche parte del concept del personaggio, ma tant’è…).

Sono anni ormai che il mercato dei videogiochi è cresciuto tanto da diventare irriconoscibile rispetto ai tempi in cui la signorina Lara (poco) timidamente si affacciava sulla scena: il media è maturo e tenta disperatamente di invocare una sua identità culturale ancor più di prima, e bisogna esser ciechi o disinteressati per ignorare come le forze e la creatività profuse in certe opere facciano sfigurare alcune osannate e vuotissime pellicole hollywoodiane e non (non parliamo dell’intellettualismo forzato di buona parte del cinema italiano, che andiamo fuori tema).

Anche Lara non è più la Lara di un tempo.

Siamo qui quindi per parlare del gentil sesso, e invochiamo il diritto di chiamare in causa non una ma ben tre donzelle che non sono affatto rispondenti allo stereotipo che questi ignoranti impostori vorrebbero propagandare per spalar letame sul nostro hobby.

Chiamo a testimoniare Elizabeth, Clementine ed Ellie, tre dei personaggi femminili più belli che io abbia mai trovato nell’ambito dei videogiochi, dotate di personalità, carisma e carattere tali da elevarsi anche rispetto al ruolo di comprimarie loro assegnato.

Le giovin fanciulle in questione rappresentano tre differenti fasce d’età, e tre differenti modi d’essere che rendono uniche le avventure vissute in loro compagnia, e snaturano completamente le accuse di sessismo verso il nostro media preferito.

Non andiamo in ordine d’età, che l’età delle signore e delle signorine non si chiede, né si dice, partendo da Miss Elizabeth, l’ultima delle mie conoscenze, co-protagonista e fulcro della trama del meraviglioso e mai troppo lodato Bioshock: Infinite. L’ultimo lavoro di Ken Levine l’ho giocato in ritardo rispetto al resto del mondo, avendolo prima snobbato e poi recuperato grazie al prezioso suggerimento dei due ottimi Zeno2k e Ogariad che mi hanno intimato di godermelo. E li ringrazio pubblicamente.

In un meraviglioso trip di fantascienza, steampunk, critica alla società, dimensioni parallele e viaggi temporali che intrigano e intrippano a livello di Fringe, il momento in cui incontrerete la signorina Elizabeth Comstock non lo dimenticherete facilmente, perché da quel punto in poi saprà sbalordirvi con la sua ingenuità, la purezza, la rabbia e la grinta nonché la tenacia che i suoi creatori le hanno donato, una donna fortissima e fragilissima al tempo stesso, che regala emozioni con un solo sguardo dei suoi grandi occhi azzurri.

Sentirla cantare, guardarla ballare al tramonto sulla spiaggia e ascoltarla mentre, incantata, racconta del suo ingenuo desiderio da ragazzina sognante di raggiungere Parigi, e di contro vederla scatenare il suo tremendo potere che può piegare lo spazio-tempo, sono momenti forti proprio perché sono la gentilezza e la poeticità del personaggio a renderli tali, e azzardo che senza di lei Bioshock: Infinite perderebbe molta della sua carica emotiva. Pensate soltanto al suo rapporto assurdo con il carceriere Songbird. Da brividi.

Non proprio la solita pin-up, vero?

Di giovin fanciulla in giovin fanciulla, facciamo la conoscenza di Ellie, la coprotagonista del capolavoro dei Naughty Dogs, The Last of Us.

Opera che non ha bisogno di presentazione perché uno dei picchi assoluti di Playstation 3, The Last of Us ci metteva nei panni di Joel, un uomo disilluso in un mondo devastato da una terribile epidemia, impegnato nella missione di compiere una consegna speciale che potrà mutare la sorte dell’umanità. Questa “consegna” risponde al nome di Ellie, quattordicenne temprata da lutti e tragedie che si rivela, pian piano, un personaggio sfaccettato e costruito in modo meraviglioso. In un mondo così rude, si diventa adulti presto, o si muore: perciò la nostra fanciulla, oltre al linguaggio da scaricatore di porto, sfoggia una dose di letalità e spirito di sopravvivenza non indifferenti.

Il meglio però Ellie ce lo dona con l’evolversi del suo rapporto con Joel, e man mano che la fiducia cresce, vengono fuori i lati adolescenti impossibili da sopire. Con le sue barzellette, il suo fischiettare, le sue domande a volte ingenue da far tenerezza, il legame che si stabilirà con la ragazzina ce la farà sentire come molto più che una semplice comprimaria digitale, ma come un personaggio a tutto tondo a cui ci si affeziona moltissimo, ed a cui daremo davvero il cuore per proteggere, persino impersonandola in una parte della storia in cui dovrà cavarsela da sé.

Non proprio l’immagine della ragazzina svampita tutta trucchi, selfie e pettegolezzi con le amiche, insomma.

Ultima, ma non ultima, se non per fascia d’età, una comprimaria assurta al ruolo di protagonista della vicenda che la coinvolge: chi non ha ancora sentito parlare della dolce Clementine?

Clementine, star assoluta della serie The Walking Dead della Telltale è, ancora una volta, un personaggio pazzesco. Nella prima stagione la conosciamo come una tenera bambina spaurita che ha perduto i genitori ed è evidentemente indifesa in un mondo alla rovina in balia dell’apocalisse zombie: oltre ad affezionarci (noi ed il protagonista Lee), noteremo come gradualmente Clementine diverrà sempre più forte, scaltra, attenta ed in grado di dire la sua in un ambiente non certamente adatto ai bambini, anche grazie all’aiuto di Lee con il quale si stabilirà un rapporto quasi parentale che tutti vorremmo con i nostri (eventuali) figli.

Ma abbandonando la sua fanciullezza, Clementine imparerà e si confronterà con realtà molto più grandi e terribili di lei, cavandosela grazie ad una forza d’animo incredibile, ma anche mostrando un lato che non è solo dei bambini, ma di tutti noi di fronte a continue tragedie.

“Cosa faresti per Clementine?” recitava la campagna pubblicitaria Telltale per la sua fortunata serie. La mia risposta? Qualsiasi cosa.

Fatto sta che nella seconda stagione sarà proprio Clem la protagonista della vicenda, leggermente più cresciuta e consapevole, messa di fronte a scelte dure ove sarà sempre o quasi in grado di scegliere con il cuore ma anche con la mente, e che se sbaglia lo fa per giusta ingenuità.

Non proprio una principessa inerme da salvare insomma, vero?

Questi piccoli esempi volevano essere semplicemente un piccolo monito per far capire come forse il pregiudizio abbia un po’ rotto le scatole: nei confronti di un media che ha molto da dire e che alla fine è il più giovane tra tutti, ma soprattutto nei confronti delle donne, dato che alla fine siamo noi a crearlo, questo sessismo. Ovviamente l’argomento non si esaurisce assolutamente qui, né pretendo di essere esaustivo.

Basta con i generalismi, basta demonizzare qualunque cosa ci voglia parlare con un linguaggio nuovo. Basta con i soliti servizi giornalistici e le solite campagne mediatiche anti-videogioco adducendo qualunque motivazione scritta a caso con le lettere dello Scarabeo.

Oh, se i videogiochi possono aiutare nel loro piccolo ad abbattere barriere culturali, ben vengano, no?

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