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This War of Mine – La guerra dall’altra parte del fucile

This War of Mine - In guerra, non tutti sono soldati

This War of Mine – In guerra, non tutti sono soldati

Un recente trend dell’industria videoludica è quello dei survival game. Corroborati da un revamping del fenomeno zombie che non accenna a declinare, molti sviluppatori hanno recentemente cercato di rendere, nei loro lavori, quella sensazione di angoscia e di urgenza che è propria di coloro che si trovano nella condizione di dover lottare per sopravvivere un giorno in più. PC e console sono quindi stati inondati da videogiochi che permettono di calarsi nei panni di novelli Robinson Crusoe urbani, gettati in un mondo che non concede sconti, in balia di epidemie, fame, caduta del comune senso etico e morale. Questa tematica per me è sempre risultata mostruosamente attraente in virtù del mio amore per il setting post-apocalittico/post-disastro, perché sono stato sempre incuriosito dall’immaginare come la nostra pigra e rilassata società possa reagire a simili disastri e come una tale situazione possa mutare i comportamenti usuali.

Partendo dal concetto di survival, i creativi di 11 Bit Studios hanno fatto un passo in più, sostituendo la classica apocalisse zombie con qualcosa di molto più reale: una guerra civile. Il risultato è This War of Mine, uscito a metà novembre su Windows, Mac e Linux. E vi assicuro che le carte in tavola cambiano, se si ha la giusta sensibilità per apprezzare la sottigliezza dell’implementazione di un setting che potrebbe tranquillamente essere realtà.

In una ipotetica città dal sapore balcanico, Pogoren, che non fatica troppo a richiamare alle menti le immagini di Sarajevo assediata dalla nostra fanciullezza, ci vengono affidate le vite di tre sopravvissuti agli orrori della guerra. Il gruppetto è eterogeneo e casuale e varia ad ogni avvio:  i miei sventurati sono Pavle, un ex-giocatore di calcio, Bruno, un rubicondo cuoco con un programma TV alle spalle e Katia, una reporter con buona attitudine nel mercanteggiare.

Il nostro rifugio cade a pezzi, rovine ovunque, ma per fortuna l’autunno è ancora clemente e non fa freddo. Cerchiamo di organizzare un campo base equipaggiato per le prime necessità, in attesa di racimolare un po’ di scorte e materiali: per dormire e riposare abbiamo una sedia e niente più. Lo schema è questo: di giorno ci si riposa, si provvede alle necessità fisiche, si lavora nel rifugio, si prova a tirare avanti. Al calare delle tenebre andiamo in spedizione (uno alla volta) e diveniamo predatori: rovistando nelle rovine, negli edifici dove prima la vita scorreva abitudinaria e felice, potremmo trovare oggetti utili per tentare di migliorare le nostre condizioni.

La visuale laterale ricorda tanto Deadlight, meritevole platform survival-horror di un paio di anni fa, e i colori cupi, il cielo realizzato col carboncino, le luci forti e plumbee disegnano un’atmosfera mesta ed opprimente, cui concorrono anche l’ottimo sonoro, tra spari lontani, musica struggente e ottimi effetti.

Pavle non sta benissimo e passa la sua giornata sul giaciglio che siamo riusciti a costruire tramite i materiali di fortuna recuperati in casa. Katia pensa che un buon libro potrebbe aiutarla a non pensare all’orrore, ma in casa non ce ne sono. Bruno fumerebbe volentieri una sigaretta, ma ormai è merce rara. Per non pensarci, setaccia la nostra nuova dimora e cucina qualcosa per tutti. Ma la triste realtà è che già domani le razioni saranno la metà. Stanotte dovremo gettare le basi per tentare di farcela.

Katia si offre volontaria per ispezionare una casa non lontana dalla nostra, sembra vuota. All’interno riesce a recuperare abbastanza cibo, materiale e medicine da riempire lo zaino; al suo ritorno il morale del gruppo aumenta, ci sentiamo sollevati da tanta abbondanza.

Costruiamo un’officina di fortuna, qualche attrezzo e un cucinino; nelle notti successive Katia e Bruno si alternano nell’attività di esplorazione di edifici abbandonati: una scuola parzialmente crollata con dei rifugiati, appartamenti vuoti, la cantina di una villetta forse ancora abitata.

Il tipo di gameplay mi ricorda moltissimo una piccola perla abbastanza sconosciuta, Zafehouse: Diaries, in cui un gruppo di sopravvissuti cerca il modo di fuggire via da una città invasa dagli zombie. E di sopravvivere, ovviamente. Grafica molto più spartana, possibilità di personalizzare il gruppo con i propri amici e conoscenti, meccaniche molto carine ed avvincenti. Ai prossimi saldi, dateci uno sguardo.

Finalmente Pavle sta meglio e, nella prima settimana di convivenza, abbiamo dovuto affrontare qualche novità: a parte essere diventati bersaglio di sporadici raid notturni di razziatori che per fortuna non ci hanno causato (ancora) troppi problemi, una donna si è presentata alla nostra porta in cerca di rifugio: è Cveta, una signora di mezza età, amante dei bambini, dal fare molto dolce e accomodante. Bruno teme sia troppo fragile per le brutalità che ci circondano e che possa diventare un peso. La accogliamo in casa, ha freddo, fame. È triste.

Katia passa una notte con la vicina di casa: ha due bambini, il marito è morto ed ha notato due loschi individui gironzolare fuori dalla sua abitazione due giorni fa. Il polemico cuoco, come sempre è contrario, teme che Katia rischi nell’allontanarsi dal rifugio, ma il resto del gruppo è sollevato dal fatto che sia possibile cooperare ed avere rapporti civili come una volta. Aiuta a non pensare alla realtà.

Pavle si offre di visitare una villetta a nord della città, non siamo sicuri sia abitata. Si sente in forma, può correre di nuovo, rassicura gli altri sul fatto che sarà una notte prolifica. E non sbaglia, ma a quale prezzo…

Al mattino rientra a casa, sconvolto. Farfuglia qualcosa circa una coppia anziana, vivevano nella loro casa di sempre, la stessa da cinquant’anni. Non voleva, insiste, non voleva, non sa cosa sia accaduto… lo zaino è stracolmo di cibo, medicine, proiettili, sembra una cornucopia dell’abbondanza. Pavle ha la testa tra le mani, piange, dice che non aveva scelta. Bruno è in un angolo, sguardo granitico. “Era noi, o loro. Non è più come prima e non sappiamo se e quando tornerà ad esserlo. Dobbiamo essere i più forti.” Cveta corre via, rifiuta il cibo. Katia tenta di non pensarci, ma teme che dell’abisso non avevano ancora visto altro che l’orlo…

This War of Mine è un’esperienza e un grido all’inutilità della guerra. Utilizzando meccaniche interessanti, per quanto non del tutto originali, gli sviluppatori di 11 Bit Studios hanno alzato il livello della loro opera, a mio avviso, proprio ponendo l’accento sul realismo dell’ambientazione, degli eventi e sulla plausibilità delle azioni e delle reazioni dei nostri personaggi e di coloro che ci circondano. Credo di non aver scalfito altro che la superficie dell’esperienza di gioco nelle mie due ore scarse di prova (non sono neanche arrivato all’inverno, ad esempio, e non ho ancora incontrato ostili pesantemente armati), ma credo che l’intento dei designer possa considerarsi riuscito: non ho idea di quale sia il “finale”, o se il gioco presti un po’ il fianco alla ripetitività, ma la caduta nell’abisso della disperazione dei personaggi (fintanto da arrivare al suicidio) e la costante sensazione di non farcela e di dover arrendersi al freddo e alla fame fanno il loro sporco dovere.

Sarà ironia della sorte ma, a dieci giorni dall’uscita, This War of Mine è balzato in cima alle classifiche di vendita di Steam (molto carina l’infografica celebrativa rilasciata dagli sviluppatori a proposito), scavalcando proprio il nuovo Call of Duty che, della guerra, fornisce un punto di vista diametralmente opposto e che della voglia di sperimentare e di donare sensazioni forti non fa certo la sua bandiera. Una sorpresa per un gioco dal budget ridotto e dalle tematiche abbastanza di nicchia, un bel messaggio lanciato sull’intera industria del gaming, messaggio raccolto persino dalla stampa generalista che solitamente si occupa soltanto di blockbuster.

Sarà l’ennesimo segnale che questo media ha anche voglia di crescere, superare certi pregiudizi sull’immaturità delle esperienze offerte? Ormai la scelta dal punto di vista più “alto” di certo non manca; ad esempio nel 2014 (centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale) anche un altro gioco ha tentato di evocare gli orrori di un conflitto (Valiant Hearts – The Great War della Ubisoft). La consapevolezza per un ulteriore utilizzo del mezzo videoludico si fa strada, spero.

Piccola nota a margine: This War of Mine è stato piratato il giorno stesso dell’uscita. La risposta degli sviluppatori? Regalare keys per il gioco su Steam nei commenti dei forum pirati, auspicando un acquisto quando le condizioni finanziarie lo permettano. Touché.

Infografica celebrativa

Infografica celebrativa

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